Elio De Grandi Alexander intervistato dalla "nostra" Giulia a Blink Circolo Magico
Un prestigiatore eccezionale oltre che una fonte inesauribile di conoscenza e curiosità. Tutto questo è Alexander, al secolo Elio De Grandi, che sabato 12 ottobre, con il suo spettacolo L’arte dell’illusione, ha inaugurato la quinta rassegna magica del circolo Blink di Dronero.
Come hai scelto il tuo nome d’arte?
L’ho scelto perché è il mio terzo nome (dopo Elio e Giovanni).
Nel 1973 hai vinto prima il Grand Prix al congresso magico di Saint Vincent e pochi mesi dopo il terzo premio Fism ai Mondiali di Parigi nella categoria manipolazione (che nessun italiano ha più vinto dopo di te)… come vedi il mondo dei concorsi oggi?
Onestamente non saprei perché non mi sono mai interessato granché ai concorsi, perché credo che non riescano a misurare realmente la valenza artistica di una persona. Questo perché le giurie non sono adeguatamente formate. La magia è spettacolo e, come tale, in giuria ci dovrebbe essere almeno un rappresentante per ogni categoria attinente al mondo dello spettacolo (un regista, uno scenografo, un coreografo…). La giuria formata solo da maghi spesso ha una visione parziale: ai mondiali del 2015 ho visto numeri terribili, ma apprezzatissimi dai giurati. Per esempio utilizzare anelli cinesi quadrati anziché rotondi ad una giuria composta interamente da maghi può sembrare una cosa originalissima anche se poi dal punto di vista dello spettacolo di originale e nuovo non c’è nulla. C’è poi da dire che spesso i componenti della giuria sono i presidenti dei vari club che magari nella vita fanno altro e capiscono poco di show business.
Quindi non credi nei concorsi?
Li considero una sfida personale, una sfida con te stesso. E nel caso di vittorie una soddisfazione personale. Ma la caratura artistica si misura altrove.
E invece come vedi il mondo dei circoli magici?
I circoli secondo me sono indispensabili perché solo lì ci può essere il confronto. Capire a che livello si è lavorando da soli è molto difficile.
Oltre che di magia sei un grande appassionato di psichiatria e psicologia… in che modo questa passione ti ha aiutato nella prestidigitazione?
Diciamo che ciascuna passione ha aiutato l’altra. Nella fattispecie ho cominciato a seguire i corsi di psicologia all’università che ero già mago. L’essere già un uomo di spettacolo mi aveva dotato di un bagaglio di conoscenze che poi lo studio della psicologia ha perfezionato. Per esempio oggi difficilmente sbaglio a scegliere uno spettatore, so già esattamente come si comporterà una persona quando la chiamerò sul palco. Questo lo si capisce da tante piccole cose: come sta seduta, come reagisce agli effetti precedenti… Per esempio nello spettacolo di sabato delle 21 ho preso una coppia in cui sapevo già che il marito non sarebbe stato particolare attivo mentre invece la moglie si divertiva tantissimo. Ho scelto di giocare su questo contrasto ed effettivamente è venuto bene. In linea di massima il concetto principale è che, da un punto di vista psicologico, un insieme di persone (come può essere un pubblico) non è semplicemente la somma delle singole persone, ma è qualcosa di molto più complesso.
Tu sei uno dei massimi esponenti della magia italiana… a che livello sono i maghi nostrani oggi rispetto agli anni ’70/’80?
Credo che la magia di oggi sia ad un livello più alto. Perché all’epoca le nazioni erano isolate, non c’era Internet, non c’erano i Dvd… Oggi apri YouTube e trovi video di maghi che stanno dall’altra parte del mondo. Questo ha fatto si che la cultura magica, che è indispensabile per chiunque voglia fare il mago, sia aumentata ma dall’altro lato ha prodotto anche una certa omologazione… penso ai vari youtuber, magari tecnicamente bravi ma molto simili tra di loro (anche se è vero che l’omologazione c’era già ai tempi di Copperfield). Personalmente preferisco quelli magari più scarsi ma originali rispetto a quelli bravissimi ma che sono la fotocopia di un altro. Per esempio la mia forza è stata quella di non essere il “Silvan dei poveri”, ma di essermi differenziato da Aldo.
Hai un effetto magico preferito?
Ne ho diversi… dipende dal punto di vista. Da un punto di vista spettacolare, dello spettacolo vero e proprio, direi la levitazione e sparizione di una Ferrari che facevo a Zim Zum Zam. Era un effetto che faceva già Copperfield e che io ho ripreso facendo una citazione. In altre parole non l’ho copiato, ma ho voluto rendere omaggio a Copperfield… anche se credo che questa cosa l’abbiano capita in pochi… Copperfield usava la Black Art, nello specifico delle quinte nere che gli servivano per la sparizione. Io ho riproposto quelle quinte nere, ma prima di eseguire la sparizione entravano in scena alcuni ballerini che danzando le portavano via. Perché a me per eseguire l’effetto non servivano… ma mi piaceva che ci fossero per citare/omaggiare Copperfield. Da un punto di vista emozionale, invece, l’effetto che mi è più caro è quello della banconota nel limone: iniziai ad eseguirlo nel 1976, quando in Italia non c’era nessuno, dico nessuno, che lo faceva. Lo scoprii, quando avevo sedici anni, in un libro intitolato La Prestidigitation du XX siècle e mi piacque subito. Studiai un metodo nuovo per eseguirlo e di lì a poco tutti i maghi in Italia lo facevano. E poi sono particolarmente affezionato al Mentalismo perché quando ho cominciato a studiare magia in tv questo tipo di effetti non veniva fatto. C’era Silvan ma faceva altro (manipolazione, colombe…). Allora per differenziarmi ho iniziato a proporre esibizioni di mentalismo, inventandomi un modo per piegare i metalli, facendo volare i tavoli come in una seduta spiritica…
In che cosa si differenzia un bravo artista da uno mediocre?
Credo che un artista sia eccellente quando ragiona in termini di spettacolo prima che di singole arti (siano magia, musica, danza o altro) e quando riesce ad amalgamare bene gli ingredienti che ha a disposizione, ma senza dimenticare che sul palco, prima di tutto (prima degli effetti, delle luci, delle musiche…) c’è lui.
Giulia Galliano Sacchetto
PHOTO: Progetto HAR - www.progettohar.it